E’ una pratica largamente diffusa, soprattutto tra gli atleti di élite, per aumentare l’endurance sfruttando la capacità di adattamento dell’organismo in condizioni di ipossia (carenza di ossigeno) dovuta all’alta quota.
Sebbene chi pratichi discipline di resistenza in altura sia convinto che l’allenamento in quota influisca sulla resa atletica, a oggi è difficile identificare e quantificare con precisione i miglioramenti prodotti dalla permanenza in quota rispetto a quelli indotti dal training.
AUMENTO DI EPO E GLOBULI ROSSI
Lo studio di questa metodica venne approfondito in seguito alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico (2240 m s.l.m.). Durante questa edizione dei Giochi infatti, non solo non venne stabilito alcun record; addirittura calarono in generale le prestazioni degli atleti nelle discipline di resistenza.
La causa? L’ipossia, che influisce negativamente sulle prestazioni aerobiche.
Questi studi spronarono i preparatori atletici di allora a realizzare training camp in altura col fine di acclimatare l’organismo degli atleti alle condizioni di gara. Sembrava infatti che l’allenamento in altura favorisse le prestazioni una volta tornati a livello del mare (0-500m), grazie alla capacità dell’organismo di compensare una minor disponibilità di ossigeno nel sangue attraverso due adattamenti fisiologici in particolare:
• aumento dei globuli rossi, che incrementa la disponibilità di ossigeno per il metabolismo, facilitando la produzione di energia a fronte di una minor percezione di stanchezza;
• aumento della secrezione di eritropoietina (EPO), ormone prodotto dai reni, che a sua volta stimola la formazione di nuovi globuli rossi.
Secondo questi presupposti l’altitude training aumenterebbe la potenza aerobica e quindi la capacità di endurance.
METODOLOGIE DI ALLENAMENTO IN QUOTA
Live High/Train High (LH-TH)
Il classico allenamento in altura prevede una permanenza da 2 a 4 settimane a una quota compresa tra i 1.600 e i 3.000 metri. La sua efficacia dipende dalla correttezza del carico di lavoro, che in altura va ridotto per maggior affaticamento e minor capacità di recupero dovuti all’ipossia.
La riduzione del carico di lavoro, una volta tornati a livello del mare, potrebbe però rappresentare un limite al miglioramento delle prestazioni. Inoltre, uno studio condotto su alcuni ciclisti campioni del mondo su pista, non rilevava – al termine di un lungo periodo in quota – un aumento dei globuli rossi né un miglioramento delle prestazioni in termini di VO2max*.
Live high/Train low (LH-TL)
Questo metodo prevede, secondo uno studio**, che gli atleti vivano e dormano almeno 12 ore al giorno per almeno 3 settimane a 2100-2500 m s.l.m., allenandosi a livello del mare. Lo scopo è beneficiare degli adattamenti fisiologici all’ipossia preservando l’intensità degli allenamenti, senza che quest’ultima risulti compromessa dalla quota.
FUNZIONA DAVVERO?
L’evidenza scientifica tutt’oggi non ha ottenuto riscontri certi circa la reale efficacia di queste metodologie, considerando che i miglioramenti rilevati nei tempi di gara (nell’ordine di 0,5-1%) e sul consumo d’ossigeno (entro il 5%) rientrano nei range di variabilità riconosciuti come standard.
Dopo anni di ricerca l’opinione dominante è che questi metodi di allenamento possano essere efficaci per alcuni ma non per tutti, e che i miglioramenti osservati siano di modesta entità, se non addirittura riconducibili esclusivamente alla qualità del training.
Oltre ai costi e ai problemi logistici, il rischio per l’atleta è di vanificare i benefici dell’altura – qualora ce ne fossero – riportando maggior stress psicofisico dovuto ai continui spostamenti e abitudini modificate. Fattori che possono verosimilmente comportare la privazione parziale di sonno.
Una ridotta qualità e/o quantità di sonno compromette seriamente le prestazioni atletiche ma anche la salute dell’atleta: riduce la lucidità mentale e influenza in maniera negativa l’aspetto nutrizionale, metabolico e endocrino.
Meglio quindi investire risorse ed energie sulla qualità degli allenamenti e sulla qualità dello stile di vita.
Allenamento, alimentazione e recupero sono i tre elementi su cui è possibile lavorare per ottenere reali e tangibili benefici sulla salute e sulla prestazione atletica.
Francesco Chiappero
Dottore in Scienze Motorie e Sportive, è preparatore atletico e titolare di ReAction® a Saluzzo (Cuneo): centro che offre servizi nell’ambito dell’attività motoria, dalla riabilitazione alla performance (www.reaction-hub.com).
Preparatore atletico di Alex Zanardi e Vittorio Podestà, ori Paralimpici a Londra 2012 e a Rio 2016, si occupa di analisi biomeccanica, preparazione atletica, valutazione funzionale. E’ consulente scientifico di varie aziende tra cui Equipe Enervit e Dorelan per il progetto Dorelan ReActive®. Appassionato granfondista, è presidente dell’ a.s.d. ReAction team.